Equiparazione delle polizze linked a dei fondi comuni di investimento: quali effetti?
L'intervento del regolatore in merito alla disciplina degli investimenti sottostanti alle polizze linked (unit e index), si è limitato ad un adeguamento normativo all’ormai mutato quadro regolamentare europeo. Approfondiamo il tema
È ormai trascorso qualche mese dalla chiusura della pubblica consultazione sulla bozza di regolamento Ivass relativa alla disciplina degli investimenti sottostanti alle polizze linked (unit e index). Un aggiornamento che era atteso da tempo dall’industria italiana del private insurance ma che, stando almeno a quanto proposto e ai rumors, non ha effettivamente colpito nel segno, se non per la grande pretesa di vedere tale disciplina applicarsi - in ossequio ad una asserito livellamento del campo di gioco tra i diversi operatori - anche alle imprese di assicurazione estere, in barba ai principi di matrice europea (in primis, secondo alcuni, quello dell’home country control).
L'intervento del regolatore si è infatti limitato ad un adeguamento normativo all’ormai mutato quadro regolamentare europeo andando ad individuare la disciplina in materia di Oicvm quale parametro di riferimento al quale le polizze linked devono conformarsi quando si tratta di investimenti sottostanti. Infatti, il fine ultimo del regolatore è stato quello "di delineare in ambito assicurativo una cornice regolamentare che non consenta di collocare prodotti più rischiosi di quelli sottoscrivibili, ad esempio, mediante l’adesione a un fondo comune d'investimento diretto a clienti non professionali".
Non si può tacere che il sentiment dell’industria era leggermente più alto, insomma, con maggiori pretese dal punto di vista della flessibilità degli investimenti che di limiti di concentrazione. Dai più era atteso qualcosa di più brioso e scattante che potesse "rombare" nel "motore" finanziario delle polizze linked nostrane, come lo sarebbe stata, ad esempio, l'adozione di un parametro di riferimento più ampio, quale quello relativo all'universo degli Oicr (in luogo degli Oicvm), in grado di offrire un ventaglio di investimenti ammissibili, e relativi limiti, molto più “aperto” e più in linea con quanto contraddistingue oggigiorno il mondo del private insurance.
Ma ciò non è stato ed è un dato di fatto che il limite di "velocità" minima e massima degli investimenti sottostanti alle polizze linked sarà, salvo piacevoli sorprese in fase di futura pubblicazione del regolamento di cui trattasi, settato a quello dei fondi comuni di investimento plain vanilla.
Una sorta di fallback scenario per le polizze di investimento assicurative che, analizzato in un quadro regolamentare più ampio e che prenda in considerazione anche gli altri interventi normativi già in corso e in vigore, potrebbe sfociare in un potenziale unlevel playing field tra il collocamento di prodotti di investimento puri e la distribuzione di quelli di investimento assicurativi (o Ibip). Una dissimmetria che in un’ottica comparativa si potrebbe già delineare, per l’appunto, tra il prodotto linked e un Oicvm (nel caso in cui il quadro regolamentare che vede il prodotto di investimento assicurativo sostanzialmente assimilato ad un fondo comune di investimento fosse confermato).
Innanzitutto perché le polizze linked c.d. pure (nel mondo del private insurance vanno per la maggiore) sono considerate dal regolatore come prodotti complessi in quanto non offrono, tra le altre cose, una garanzia di restituzione totale del capitale. E l'inclusione in tale species comporta che la loro distribuzione sia assoggettata alla consulenza obbligatoria e sotto regime di adeguatezza condizionatamente remunerata (nel senso che può gravare economicamente sul cliente soltanto se la consulenza sia accompagnata da una valutazione periodica dell’adeguatezza). Si considera, dunque, ultroneo il fatto che il collocamento di un Oicvm non sia comunque assoggettato alle stesse regole e pertanto essere venduto anche in regime di appropriatezza senza particolari tematiche sulla remunerazione o meno alla rete di vendita (incentivi a parte). Mentre, per contro, se lo stesso Oicvm è collegato ad una polizza linked allora deve essere assoggettato ad un inasprimento del regime regolamentare applicabile.
Altro elemento da tenere in debita considerazione va individuato nel c.d. “giudizio di equivalenza” a cui sono tenuti, per quanto qui interessa, i soggetti distributori sottoposti a vigilanza Consob(i c.d. Sada). Infatti, nell’ambito della verifica di adeguatezza, il distributore è tenuto a valutare, tenendo conto dei costi e della complessità, se altri prodotti di investimento o altri Ibip equivalenti siano adeguati per il cliente. Ma nella comparazione tra una polizza linked e un Oicvm, il giudizio è per così dire esasperato - se non di per sé perdente - se si considera che, a parità di prestazioni economiche e profilo rischio-rendimento, nella polizza va presa in considerazione anche la copertura del rischio demografico e il relativo costo, così come precisato dalla Consob, al fine di assumere una decisione di investimento consapevole. Forse sarebbe stato meglio livellare il campo di gioco limitando l’equivalenza ai soli prodotti Ibip a catalogo presso il Sada, che è quanto avviene nell’ipotesi in cui il prodotto Ibip è distribuito dai soggetti sottoposti a vigilanza Ivass.
Si potrebbe anche aggiungere il fatto che nella distribuzione di prodotti di investimento assicurativi post-IDD, non esiste più la figura del cliente professionale. Ai più verrà in mente che nel mondo pre-IDD, quando gli Ibip erano denominati prodotti finanziari assicurativi (ramo I esclusa) ed erano ancora sottoposti alla disciplina Consob, la qualifica di cliente professionale era normativamente prevista, ma nel mondo post-IDD non è più il caso. Si ricorda infatti che si trattava di un’opzione offerta dalla medesima direttiva IDD ma non recepita in fase di trasposizione nel quadro regolamentare domestico, e che non ha fatto altro che allargare da un punto di vista fattuale il divario con il collocamento di prodotti di investimento puri, che invece l’hanno sempre prevista e la continuano a prevedere.
Allargamento, poi, che potrebbe essere più marcato se si pensa che dal 30 marzo scorso, l’investimento in Fia riservati è stato esteso anche alla clientela non professionale con ticket d’ingresso pari ad almeno 100 mila euro. Così mentre la polizza di private insurance rischia di essere omologata, dal punto di vista degli investimenti, a un fondo comune di investimento sottoposto ai dettami UCITs, lo stesso cliente retail ha invece la possibilità di investire direttamente in un Fia riservato sino al 10% del proprio portafoglio finanziario, se quell’investimento è a sua volta oggetto di raccomandazione personalizzata nell'ambito della prestazione del servizio di consulenza in materia di investimenti, ovvero se effettuato da soggetti abilitati alla prestazione del servizio di gestione di portafoglio.
In parallelo, e dal punto di vista prettamente tributario, sarebbe anche da approfondire la questione della tassazione dei dividendi di fonte Ue ed extra-Ue prodotti dagli attivi sottostanti ai fondi interni assicurativi delle polizze linked. Infatti, ad oggi sono assoggettati nella gran parte dei casi alle ritenute alla fonte con l’applicazione, a seconda dei casi, dell’aliquota domestica o convenzionale prevista nei trattati contro le doppie imposizione, ma non sono esenti da imposta come lo è nell’universo degli Oicr (Oicvm) italiani e dello SEE, grazie ad una normativa più chiara al riguardo e sulla base di un recente filone giurisprudenziale che, formatosi proprio con riferimento agli Oicr, ne ha sancito la non discriminazione tra tassazione domestica e transfrontaliera in ossequio al principio della libera circolazione dei capitali.
Tutti dati di fatto, insomma, che si lascia al lettore più attento e curioso, valutare e giudicare.